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atto secondo 213


SCENA IX

Spaziose logge reali, donde si scoprono la vasta campagna ed il porto di Tessalonica: quella ricoperta da’ confusi avanzi d’un campo distrutto, e questo dai resti ancor fumanti delle incendiate navi d’Epiro.

Antigono e Demetrio.

Antigono. Dunque nascesti, ingrato,

per mia sventura? il piú crudel nemico
dunque ho nudrito in te? Bella mercede
di tante mie paterne cure e tanti
palpiti che mi costi! Io non pensai
che di me stesso a render te maggiore:
non pensi tu che a lacerarmi il core.
Demetrio. Ma credei...
Antigono.   Che credesti? Ad Alessandro
con quale autoritá gli affetti altrui
ardisti offrir? Chi t’insegnò la fede
a sedur d’una sposa,
e a favor del nemico?
Demetrio.   Il tuo periglio...
Antigono. Io de’ perigli miei
voglio solo il pensiero. A te non lice
di giudicar qual sia
il mio rischio maggior.
Demetrio.   Se di te stesso,
signor, cura non prendi, abbila almeno
di tanti tuoi fidi vassalli: un padre
lor conserva ed un re. Se tanto bene
non vuol congiunto il ciel, renda felice
l’Epiro Berenice,
tu Macedonia. È gran compenso a questa
del ben, che perderá, quel che le resta.