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318 | xxi - il re pastore |
SCENA V
Agenore, poi Tamiri.
nella mia la tua pena. E pure Elisa
ha di me piú valor. Perde il suo bene
ed ha cor di vederlo: a tal cimento
la mia virtú non basta. Io da Tamiri
convien che fugga; e ritrovar non spero
alla mia debolezza altro ricorso. (in atto di partire)
Tamiri. Agenore, t’arresta.
Agenore. (O dèi, soccorso!)
Tamiri. D’un regno debitrice (con ironia)
ad amator sí degno
dunque è Tamiri?
Agenore. Il debitore è il regno.
Tamiri. Perché sí gran novella (con ironia)
non recarmi tu stesso? Io dal tuo labbro
piú che da un foglio tuo l’avrei gradita.
Agenore. Troppo mi parve ardita
quest’impresa, o regina.
Tamiri. (con risentimento) Era men grande
che il cedermi ad Aminta.
Agenore. È ver; ma forse
l’idea del dover mio
in faccia a te... Bella regina, addio.
Tamiri. Sentimi. Dove corri?
Agenore. A ricordarmi
che sei la mia sovrana.
Tamiri. Sol tua mercé. (con ironia)
Agenore. Ch’io d’esser teco eviti
chiede il rispetto mio.
Tamiri. (con isdegno) Tanto rispetto
è immaturo finor: sará piú giusto