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382 | v - alessandro nell'indie |
Poro. Eccolo: è questo,
(impugna uno stile)
barbaro sí, ma necessario e degno
del tuo core e del mio. Mori, e m’attenda
l’ombra tua degli Elisi in su la soglia
senza il rossor della macchiata spoglia.
Cleofide. Come!
Poro. Sí, mori! (vuol ferirla e si ferma) Oh Dio!
Qual gelo! Qual timor! Vacilla il piede,
palpita il core, e fugge
dall’uffizio crudel la man pietosa.
Ah Cleofide, ah sposa,
ah dell’anima mia parte piú cara,
qual momento è mai questo! E chi potrebbe
non avvilirsi e trattenere il pianto?
Cara, la mia virtú non giunge a tanto.
Cleofide. Oh tenerezze! Oh pene!
Poro. (guardando dentro la scena) Ecco i nemici.
Perdona i miei furori,
adorato ben mio, perdona e mori. (in atto di ferirla)
SCENA VII
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alessandro. (a Poro) E donde
tanto ardimento e tanta
temeritá?
Poro. Dal mio valor, dal mio
carattere sublime.
Cleofide. (Oh Dio, si scopre!)
Poro. Io sono...
Cleofide. (va nel mezzo) Egli è di Poro
fedele esecutor. Di Poro è il cenno
la morte mia.
Alessandro. Ma non doveva Asbite
eseguir tal comando.
Poro. Or piú non sono
quell’Asbite che credi.