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357 atto terzo


l’affliggersi cosí? Della sua vita

arbitra sei. Su questa nave ascendi
sposa a Learco. Il mio costante amore
premii la figlia; e ’l genitor non muore.
Issipile. Che ascolto, o sposo!
Giasone.   E proferire ardisci
il patto scellerato, anima rea?
Ah! raffrenar non posso
il mio giusto furor. (in atto di snudar la spada)
Issipile.   Pietá. Giasone! (trattenendolo)
L’empio trafigge il padre,
se tenti d’assalirlo.
Giasone.   Ah! ch’io mi sento
tutte le furie in sen.
Learco.   Vedi, o Toante,
quella tenera figlia
come corre a salvarti. I suoi disprezzi
paghi il tuo sangue: ho tollerato assai.
  (in atto di ferire)
Issipile. Eccomi! non ferir. (s’affretta verso la nave)
Toante.   Figlia, che fai?
Potesti a questo segno (Issipile si ferma)
scordarti di te stessa? Ah! non credea
che Issipile dovesse
farmi arrossir. D’un talamo reale
all’onor, non al letto
d’un infame pirata io t’educai;
e divenir tu vuoi
madre di scellerati e non d’eroi?
Issipile. Dunque un’altra m’addita
miglior via di salvarti.
Toante.   Eccola. Intatto
custodisci l’onor del sangue mio.
Non pensar che d’un padre
giá ti costi la vita, o te ne renda
piú gelosa custode un tal pensiero.