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russi e tartari

zione senza limiti che avea per il suo signore; ma lo czar, sdegnando questi rimproveri indiretti circa la sua politica interna, proseguì brevemente la serie delle domande:

— Ultimamente dov’era Ivan Ogareff?

— Nel governo di Perm.

— In qual città?

— A Perm appunto.

— Che faceva?

— Sembrava disoccupato, e la sua condotta nulla aveva di sospetto.

— Non era sotto la sorveglianza dell’alta polizia?

— No, sire.

— In qual tempo lasciò Perm?

— Verso il mese di marzo.

— Per andare dove?

— Non si sa.

— E da quel tempo s’ignora che ne sia avvenuto?

— S’ignora.

— Ebbene, io lo so, rispose lo czar. Avvisi anonimi, senza passare per gli ufficî della polizia, pervennero a me, e stando ai fatti che accadono ora al di là della frontiera, ho ragione di credere che fossero esatti.

— Volete dire, sire, rispose il gran mastro di polizia, che Ivan Ogareff abbia mano nell’invasione tartara?

— Sì, generale, e ti dirò io quello che tu non sai. Ivan Ogareff, dopo aver lasciato il governo di Perm, passò i monti Urali, entrò in Siberia nelle steppe kirghize, e colà tentò non senza fortuna di sollevare le popolazioni nomadi. Scese allora più al sud fino al Turkestan libero. Colà, nei kanati di Bukara, di Kokand, di Kunduze,