Pagina:Milani - Risposta a Cattaneo, 1841.djvu/74

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«L’ingegnere in capo sceglie il terreno però, prima l’impegnarvisi, approfitta del libero mandato che tiene, e della piena fiducia che gode, e si determina da sè a riconoscere di nuovo gli accessi di Bergamo per avvicinarvi più ancora, se è possibile, la linea maestra».

202.° Strigniamo. Dunque non è vero che io «abbia preso la mia risoluzione sulla carta, che io abbia innanzi tratto determinata la linea con fili di seta tesi sulla carta topografica, senza aver premesso alcun esame del terreno, alcuno studio dei livelli, senza tener alcun conto della qualità del suolo, dei più o meno grandi movimenti di terra, dell’importanza maggiore o minore dei manufatti, mirando solamente ad ottenere i più lunghi rettilinei a mite angolo, e ad evitare le grandi masse dei caseggiati».

Non è dunque vero «che io abbia imposta al terreno una linea arbitraria, una linea» non prodotta dallo studio dei livelli».

Non è vero dunque «che io abbia studiato una linea sola, che io abbia fatto la livellazione di una sola linea, e con ordine prepostero».

Tutte queste cose altro non sono che delle solite imposture del dottore Cattaneo che egli, a queste incallito da lungo tempo, spaccia senza riguardi, senza rimorsi, quantunque abbia in mano la prova del contrario, quantunque abbia egli altre volte provato e stampato il contrario.

203.° È vero invece che vi furono norme e guide generali, dettate da sani principii di pubblica economia, dallo studio e dalla pratica delle strade di ferro; che vi fu studio diligente del suolo, delle acque, dalla zona da percorrersi, del cammin da seguirsi, e che la linea additata alla strada non è una linea imposta arbitrariamente al terreno, ma il frutto, la risultante di tutti gli studii suddetti, tracciata poi col metodo il più sicuro, il più spedito, il più economico che si conosca.

204.° È vero invece che tutti quei suggerimenti del dottore Cattaneo, che egli dà quasi cose nuove alla pagina 17 della di lui Rivista:

«di esplorare sopra un mediocre spazio il corso dei maggiori fiumi per determinare in ciascuno tutti i più opportuni passi;

«di congiungerli con linee più o meno numerose di livellazione, affine di trascegliere a ulteriore studio quelle che unissero la minore lunghezza alle minori difficoltà

«onde avere a questo modo sul tavolo la vera immagine del terreno, «e potere con uno studio profondo determinare la linea tecnica«;

sono cose rancide, sono l’abbiccì dell’arte mia, dell’arte dell’ingegnere — sono cose che io ho fatto sotto i di lui occhi quattro anni sono — sono cose che egli ha letto nei miei rapporti quattro anni sono.

Sicché possa concludere almeno, che sono cose che egli viene ora ad insegnarmi quattro anni dopo che io le ho fatte, che io le ho scritte, cioè quattro anni dopo che egli le ha vedute fare e scrivere da me.

205.° Per tracciare sul terreno la prima linea, la linea degli studii, quella che mi sembrava la più probabile, quella alla quale, in ogni peggior evento, dovevansi legare tutte le altre, e servire di base a tutte le operazioni geodetiche, ho costruito, ad uno degli estremi dei maggiori rettilinei, dei castelli, degli osservatorii di legno; ed all’altro estremo ho eretto uno scopo opaco, quando la lunghezza del rettilineo era moderata, oppure uno scopo luminoso, un fuoco, quando era grande, come p. e. di ventimila, di trentamila metri o più.

206.° Un oggetto qualunque non è visibile all’occhio umano se egli non gli si presenta