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Pagina:Mill - La liberta, Sonzogno, Milano.djvu/99

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capitolo quinto. 99

materia di prevenzione o di repressione. L’ubbriachezza, per esempio, nei casi ordinari, non è una ragion conveniente d’intervento legislativo; ma io troverei perfettamente legittimo che un uomo convinto d’aver commesso qualche violenza contro altri sotto l’influenza dell’ubbriachezza, fosse sottoposto a disposizioni speciali; che, se in seguito lo si trovasse ubbriaco, fosse soggetto ad una penalità; e che, se in questo stato egli commettesse un’altro fallo, la punizione di questo fallo nuovo fosse più severa. Una persona che si ubbriaca quando l’ebrezza la spinge a nuocere agli altri, commette verso di questi un delitto. Allo stesso modo l’oziosità, tranne che in persone pagate dal pubblico, oppure quando questo vizio costituisce la violazione di un patto, non può senza tirannia divenire oggetto di punizioni legali: ma se per oziosità o per qualche altra causa facile ad evitarsi un uomo manca ad uno dei suoi doveri legali verso gli altri, come quello di mantenere i suoi bambini, non vi è tirannia a costringerlo ad adempire questo dovere con un lavoro obbligatorio, ove non si trovi altro mezzo.

Inoltre, vi sono molti atti che, essendo direttamente dannosi soltanto a chi li commette, non dovrebbero essere legalmente proibiti, ma che, commessi in pubblico, divengono una violazione delle sociali convenienze e, passando così nella categoria delle offese verso gli altri, possono in tutta giustizia essere vietati. Tali sono gli oltraggi alla decenza, su cui non è necessario di dilungarsi, tanto più che essi hanno col nostro soggetto un rapporto puramente indiretto, dappoichè la pubblicità non è un’aggravante minore nel caso di molte azioni punto biasimevoli in sè stesse nè tenute per tali.

V’è un’altra domanda a cui bisogna trovare una risposta che si accordi coi principi qui posti. Vi sono dei casi di condotta personale tenuti per biasimevoli, ma che il rispetto della libertà impedisce di prevenire o di punire perchè il male che ne deriva direttamente ricade tutto quanto sull’agente. Si deve lasciare ad altre persone la libertà di consigliare o di costringere a fare ciò che fa liberamente l’agente? La questione non è scevra di difficoltà. Il caso di una persona che ne sollecita un’altra a compiere un atto, non è, a rigor di termini, un caso di condotta personale; dare dei consigli od offrire delle tentazioni a qualcuno, è un atto sociale e può di conseguenza, come in generale qualunque azione che riguardi gli altri, essere considerato come sottoposto alla sorveglianza sociale. Ma un po’ di riflessione corregge la impressione prima dimostrando che se il caso non è strettamente compreso nei confini della libertà individuale, non di meno gli si possono applicar le ragioni su cui si fonda il principio di questa libertà. Se si