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Q U A R T O. 47

Vieni, vieni mia speme,
O mio vano pensiero,
Amo un’ombra, & un’ombra in van desio.
O piagge, o colli, o boschi, o selve, o valli,
Vedeste mai, udiste mai, che Ninfa
Provasse più di me, dolente sorte?
O dura acerba sorte,
Avvampo, & ardo di me stessa, e solo
Posseder bramo, quel che più posseggo.
O meraviglia, io sentirei men doglia,
Se la bramata imago
Mi fusse più lontana, hor come mai
Potrò, se ben hò meco il mio contento,
Accostar questa mia con la sua bocca?
Quello, che più desio, vien sempre meco;
Nè fuggir il potrei, se ben volessi.
Ahime, che la mia pace
Mi fà continua guerra,
E la soverchia copia
Mi fa d’ogni piacer provar inopia,
Troppo à quest’occhi piaccion gli occhi miei,
E ’l proprio viso, e ’l proprio seno, e troppo,
Ah finalmente à me medesma piaccio:
E, s’io vò far vendetta
Di chi m’offende, incrudelir conviemmi
Contra me sola; o sventurato Amore.
Occhi, d’ogni mio mal vera cagione,
Calde, & amare lagrime versate
Per giusta emmenda de l’ingiusto foco,


G   3      Che