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Q U I N T O. 50

SCENA SECONDA.

Igilio Pastore.


Igi.
N
E d’acqua il vasto Mar, nè di rugiada

La stridula Cicala, nè di Timo
La sussurrante Pecchia,
Nè di Citiso l’avida Capretta,
Nè ’l crudo Amor di lagrime si satia.
Crud’Amor, ben veggh’io, che’l fin dolente
Brami de la mia vita,
Poi che Fillide bella; ond’io mi vivo,
Fai sì dura al mio pianto, e sì sdegnosa
Rendi, e sì sorda a le dolenti note.
Darò dunque morendo
Fin’al mio mal, che non hà fin vivendo;
Tu ferro, che scrivessi
Sì spesso il nome di colei, che adoro,
E la mia pura fè seco notasti
In queste verdi piante, in cui crescendo,
Cresciuto è con l’amor la pena mia,
Hoggi nel seno mio sarai nascosto.
Dunque senza timore, ardita mano,
Ferisci, ove ferì crudel Amore:
Sciogli quest’alma homai dal più dolente
Corpo, che la Natura unqua formasse;
Ma, pria che gli occhi al sono eterno i chiuda
Vò co’l medesmo ferro
Scritto lasciar in questa verde pianta
Della mia vita il miserabil fine;
Acciò che d’una in altra lingua entrando,


E d’una