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P R I M O. 11

D’affanno pieno, e di noiose cure,
Dolor m’affligge, & ange,
E la disperation m’induce (ahi lassa)
A desiar la morte.
O più d’ogn’altra sfortunata Filli,
Voi pur sapete, o boschi,
Valli, selve, e campagne,
Qual sia la vita mia, poi che sì spesso
Mi sentite lagnare, e i venti ancora
Lo san, che per udir l’aspra mia pena,
Si fermano sovente:
Io sfortunata allhora, che le stelle
Fanno ornamento al bel notturno Cielo;
E che Cinthia si posa nelle braccia
Dell’amato garzone; e che la notte
Spiega l’oscuro velo;
E che ’l Sonno, e ’l Silentio
Porge a i mortali stanchi
I dovuti riposi; io me ’n vo sola
Senza temer delle notturne larve
L’horrido incontro, e misera, o perduta
Per gli ermi boschi, e pe i solinghi campi,
Indarno Uranio chiamo, e mentre chieggio
Al Ciel s’ei mi sarà spietato sempre:
Da i cavi sassi accresce il mio tormento
Ecco, ch’al mio parlar risponde SEMPRE.
Così turbo à la notte in gravi homei
Il sui fido silentio; mentre piango
Sento i notturni augelli, che stridendo


M'ap-