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uno scrupolo, onde ventiquattro per un soldo, epperciò dovevano pesare grani 3 ½.

Delle monete d’argento da Eraclio I sino a Costantino V, come verificai in vari pezzi, si batterono migliaresi a pezzi 48 per libbra, onde grani 120 incirca caduno, e 12 di essi equivalevano ad un soldo d’oro.

Mezzi migliaresi da pezzi 96 per libbra, epperciò di 60 grani incirca caduno.

Finalmente dai tempi di Giustino I a Leone III Isauro si coniò una monetina chiamata silique d’argento per distinguerla da quella d’oro, e della quale deve essersene anche lavorata la metà.

Questo pezzo che il Sabatier1 trovò all’epoca di Giustiniano I pesare tra grani 25 e 26, sotto Giustino I era di soli grani 12 a 13, ed indi andò ancora scendendo di 7 a 8, onde il suo rapporto che era in principio col migliarese come 1 al 5, poi come 1 al 10, s’abbassò come 1 al 12.

L’unità della moneta di rame era il nummus, secondo alcuni anche detto follis o follare dal sacco che li conteneva ordinariamente, rappresentava l’antica uncia romana ma ad essa ben inferiore nel peso, e che inoltre trovasi sempre variare, altrimenti avrebbe dovuto conservarsi il rapporto del rame all’oro come 1 al 1800.

Messo il nummo per base, troviamo che quattro erano i suoi moltiplici sui quali Anastasio nel 498 aveva prescritto doversi segnare il proprio valore, uso che durò sino ai tempi di Michele III verso l’anno 850.

Questo valore era così segnato:

sui pezzi di nummi 40 in Grecia Μ in Occidente XXXX
  » 30 » Λ » XXX
  » 20 » Κ » XX
  » 10 » Ι » X
e qualche volta » 5 » Θ » V

I successori di Anastasio variarono però il numero dei suddetti moltiplici, trovandosi pezzi di 33, 16, 8, 6, 4 e 3 nummi.

Il Sabatier 2 pretende che folleri si chiamassero solamente i pezzi di 40 nummi, appoggiato a Procopio, il quale dice3 che Giustiniano I ordinò

  1. Revue numismatique. 1858, pag. 191.
  2. Idem, pag. 193.
  3. Historia arcana. Bonnae 1838, pag. 140.