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SESTO. | 111 |
XXXII.
Come di faggio, o pur di quercia annosa,
O vecchio ulivo antiche scorze, e dure,
O d’altra pianta, o d’arbore frondosa
Taglia, o recide raffilata scure,
Fresca sotto la terra e vigorosa
Resta sol d’essi la radice; eppure
Questa l’umor natìo nutrendo pasce,
Verde germoglia, e l’albero rinasce.
XXXIII.
Tal è col vizio appunto la coscienza,
In grosse piante videsi indurita,
E con l’accetta della penitenza
Atterrata restò dal Gesuita:
Ma poi successe alla di lui partenza
Presto ritorno alla viziosa vita;
E del peccato la radice stessa,
Come un pin con le foglie, già rimessa.
XXXIV.
Per allettar con ciarle, e suoni, e canti,
Con scherzi, e motti, e favole giocose,
I Ciarlatani, e simili birbanti,
Vennero a trattener le genti oziose:
Non mancarono ancor mani zelanti,
Che hanno fin sulle dita unghie pietose,
Che il palco poi di tavole composto
Portaro a casa ov’è tuttor riposto.