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riosi socii italici, per vendicare Sulmona, che Silla disfece. Però ne’ libri sibillini era scritto in favore dell’eterna Città la divina sentenza: imperium sine fine dedi. Vinsero Mario e Silla; ai popoli sottomessi Roma finalmente accordò la cittadinanza. Il desolato Abruzzo pertanto non sì presto si riebbe, anzi ricadde in nuovi guai durante le guerre civili, onde poi risorse la monarchia di Augusto. Questi al paese restituì la pace, se non il benessere, mandando nuove colonie negli agri desolati. Tutte le contrade abruzzesi egli poi comprese nella quarta Regione d’Italia.

D’allora in poi Roma tirò a sè, più che non avesse fatto per lo addietro, le migliori forze intellettuali di quella provincia. Parecchi Abruzzesi si distinsero negli affari di stato e nelle lettere. Sallustio, nato dopo finita la guerra sociale in Amiterno, salito in Roma agli alti onori del proconsolato di Numidia, si rese immortale per due opere monumentali: la Villa sul Pincio, ed i suoi libri storici. Gli ultimi avanzi della prima testé li abbiamo visti scomparire sotto un nuovo quartiere urbano; restano indelebili gli scritti Sallustiani. A Sulmona poi vide la luce del mondo uno di quei poeti maggiori, che formano la triade classica latina, come Dante, Petrarca e Boccaccio compongono quell'altra italiana. Ovidio di sé stesso disse:

Manina Virgilio gaudet, Verona Catullo;

Pelignae dicor gloria gentis ego.