Pagina:Moore - Il profeta velato, Torino, 1838.djvu/127

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Quel nemico a scontrar, che fra l’ingombro
910De’ sparsi muri tuttavia cammina
Con piè lento e mal fermo infin che giunto
L’uno dell’altro a fronte, egli s’avventa
Precipitoso d’Azimo sul brando,
E nel cader, dal viso il vel rimosso,
915Appare — oh! il sangue di Zelica è questo.
     «Deh! mi perdona o caro,» ella gli disse
Con soave parlar, mentre faceva
Sostegno al capo colla man tremante,
E fisandolo in volto ivi mirava
920Angoscia tal che ogni ferita eccede
Ond’esser possa lacerato un core.
«Deh! mi perdona o caro; io non volea
Darti questo tormento, ancorchè morte
Ricevuta così dalla tua mano
925Gioia tanta mi sia che tu medesmo
A me non la torresti ove palese
Ti fosse quanto supplicato ho Dio
Di morire così; ma del veleno,
Che il demone mi diede, oh! lenta troppo
930È la fatal virtù — quindi pensai
Che se quel velo — oh! non mirarlo — avesse
Delle tue schiere folgorato al guardo,
Denso un nembo di strali immantinente