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contrano le forme altar e autar, e che altar si dice a Venezia e a Milano, e altêr in Romagna e altrove; troverà naturale e logico che in francese si siano avute successivamente le tre forme: alter, altel, autel; e insieme avrà non solo una prova del fatto che le lingue romanze somigliano più tra loro e al latino, quanto più si risale il corso dei secoli; ma avrà altresì un’idea del metodo che oggi si segue nelle indagini etimologiche, e del posto importantissimo che in tali indagini tengono i dialetti.

Prima di questo metodo, non sapendosi spiegare come il francese âme potesse derivare dal latino anima, si diceva derivato dal gotico ahma (soffio, anima). Oggi invece, essendosi accertato che nel nono secolo i Francesi scrivevano anima,1 nel decimo anime, nell’undecimo aneme, e nel decimoterzo anme e amme, si trova naturalissimo che poi passassero ad âme; nè c’è punto bisogno di ricorrere alla parola gotica. Il provenzale anma e arma, e l’italiano anima, che in alcuni scrittori e ne’ dialetti è anema, alma, arma, compiono

  1. È nel secondo verso del Cantico di Sant’Eulalia:
    Buona pulcella fut Eulalia,
    Bel auret corps, bellezour (più bella) anima.

    Si badi ch’io dico: scrivevano. Come poi pronunziassero è un’altra questione, la quale s’intreccia con quella della qualità del verso. Il Meyer, per esempio, crede che anche in questo luogo si pronunziasse âme. (Cfr. Littré, Op. cit., vol. II, pag. 305-07.) Altri invece credono che il vocabolo anima sia qui usato come un mero latinismo, con la pronunzia e l’accentuazione propria del latino. Comunque sia, quest’esempio del nono secolo, trascurato fin qui nella storia di âme, è utile e legittimo non meno degli esempi successivi.