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della lingua italiana | 83 |
X.
Per uscire da questa nova Babilonia, ci voleva uno sforzo supremo, una specie di miracolo. Ci voleva un uomo, il quale, servendosi di uno degl’idiomi centrali della penisola, e perciò meglio accetto agli altri Italiani, fondesse insieme, con mirabile armonia, in una grand’opera d’arte, tutti gli svariati elementi, che cozzavano, confusi, tra loro: la gentilezza cavalleresca de’ Francesi e de’ cortigiani di Sicilia; i sospiri d’amore e le invettive anticlericali de’ Provenzali; il misticismo di san Francesco e di Iacopone; la naturalezza e la verità del sentimento popolare; la speculazione teologica e scientifica.
Quest’uomo venne, nè c’è bisogno ch’io lo nomini; ed a ragione potè dire che, col suo poema, avrebbe cacciato di nido i suoi predecessori, togliendo loro “la gloria della lingua.„1 E con la solita fierezza, egli si sdegnava contro i “malvagi uomini d’Italia, che commendano lo Volgare altrui, e lo propio dispregiano;„ e profetizzava che il Volgare sarebbe stato “luce nuova, sole nuovo, il quale surgerà ove l’usato,„ cioè il latino, “tramonterà.„2
Ma il latino, anzichè tramontare, non pago