Pagina:Moro - Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia, Mura, Roma 2013.djvu/39

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politica, funzionale a creare un baratro di diffidenza e di reciproco sospetto tra la famiglia del rapito e le autorità pubbliche, un fattore che ebbe un ruolo determinante nell'incattivire ancora di più il nodo di questa storia, sino a renderlo inestricabile. Si ebbero però quattro eccezioni: il presidente della Repubblica Giovanni Leone e il segretario del Psi Bettino Craxi ricevettero riservatamente una lettera ciascuno che scelsero di rendere nota, così come fece la moglie Eleonora nel caso di una terza missiva indirizzata al segretario della Dc Benigno Zaccagnini il 20 aprile 1978 (per ottemperare a una esplicita richiesta del marito) e alla Democrazia cristiana, in quest’ultima circostanza per decisione dei collaboratori di Moro. Di conseguenza, soltanto otto lettere (quattro per necessitante volontà dei brigatisti, quattro per scelta dei destinatari) concorsero a formare l’immagine di Moro prigioniero, quella di una vittima querula e gonfia di rancore, priva di senso dello Stato e delle istituzioni, attaccata soltanto ai suoi affetti privati. Una sorta di agnello sacrificale, intorno al quale, negli anni successivi, in troppi avrebbero in modo indegno e maramaldesco continuato a pasteggiare.

Nell’ottobre 1978 saltarono fuori altre ventotto missive (di cui diciotto, a quanto ne sappiamo, inedite sino a quel momento) ritrovate a Milano nel covo brigatista di via Monte Nevoso: non in originale, ma in formato dattiloscritto. Il fatto che si fossero ritrovati soltanto dei dattiloscritti non firmati (che, ovviamente, chiunque avrebbe potuto battere a macchina e poi attribuire a Moro) indusse erroneamente a ritenere che in quella circostanza fossero state recuperare le veline usate dai brigatisti per dettare al prigioniero ciò che egli aveva scritto, a conferma di quanto era stato sostenuto dagli esponenti del cosiddetto partito della fermezza durante il sequestro, il governo, la Dc, il Pri e il Pri: quelle lettere non erano moralmente autentiche e dunque non erano attribuibili a Moro.

Nell’ottobre 1990, sempre nello stesso appartamento, dentro un’intercapedine occultata da un pannello di cartongesso, un operaio che stava compiendo dei lavori di ristrutturazione scoprì una cartella contenente 419 fotocopie di manoscritti di Moro1. Dodici anni dopo quei tragici fatti, insieme con il memoriale, giungevano così a destinazione una serie di lettere scritte dal prigioniero, molte delle quali mai recapitate dai brigatisti, che raggiunsero i destinatari solo allora, come se provenissero da un altro mondo e li cogliessero all’improvviso dentro un’altra vita. Il fatto che si trattasse di manoscritti, per quanto in fotocopia, rivelava che Moro aveva scritto di suo pugno molto di più di quanto supposto fino a quel momento, ma ormai ciò non importava più a nessuno.

  1. Sulla vicenda dei diversi ritrovamenti mi sia consentito rinviare a M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino, Einaudi, 2012, pp. 49-188.