Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/228

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Anche fra i sociologi vi è quegli che al cospetto di un agonizzante trova la nostra Società abominevolmente crudele nella sua stessa sentimentalità eccessiva: “troppo sollecita di addolcire la vita, scriveva Gabriele Tarde, essa non si preoccupa abbastanza di addolcire la morte„. Quest’accusa non è perfettamente giusta, giacchè la Medicina, che è una delle organizzazioni di difesa creatasi dalla Società umana contro il dolore, le presenta qualche mezzo per attutire e diminuire, caso mai, gli spasimi della morte: potrà valere all’uopo la somministrazione di anestetici. Però questa pratica non può sottintendere nulla che non sia conforme al rispetto della vita: l’addolcire, il lenire una agonia coi mezzi di cui disponiamo, non dovrà mai giungere, almeno nelle attribuzioni e nelle intenzioni volontarie del medico, sino all’anticipare artificialmente la morte; si tratta di lasciar vivere ancora col minimo possibile di sofferenza, non di spegnere prima del suo momento la fiammella della Vita.

Ci si è chiesto se sia lecito davanti alla morale in genere, alla religione e perciò alla deontologia medica, insensibilizzare i malati, assopendo in essi, assieme col dolore, anche le facoltà superiori dello spirito, la coscienza e la libertà del volere. Il tema è venuto più volte in discussione negli ambienti religiosi; e teologi insigni, e medici credenti, ma dotti, come Giorgio Surbled, lo hanno risolto in