Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/280

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terio e Brassavola di Padova nel sec. XVI, da Tommaso Brown nel XVII, da Gagliardi, Ettmüller e De La Mettrie nel XVIII, ad Hufeland, Scoutetten, Littré, Peisse, Max Simon, Dechambre, G. Surbled nel XIX (il XX secolo se n’occupa, a dir vero, assai poco!), tutti senza distinzione, in maniera più o meno aperta, hanno escluso che il medico possa in qualsiasi modo alimentare nei propri ammalati l’idea del suicidio; e ciò anche quando la Medicina non aveva i mezzi che ora possiede per togliere il dolore. Sydenham alzava un inno all’oppio, come al gran mezzo che permetteva all’uomo di combattere i patimenti inflittigli dalle forze naturali. Pagine eloquenti io ricordavo di aver letto in un bel libro del dottissimo Dechambre, che fu un medico ed uno scienziato di alto valore e che sentiva tutta la dignità della nostra professione. L’ho ripreso ora in mano, dopo quarant’anni, e ne riporto le parole, ben sapendo che non saprei dir meglio:

“[Nel caso che il malato sappia della incurabilità del suo male] l’azione del medico può ancora esercitarsi con vantaggio sul morale... Lo stoicismo, che ha fatto i Catoni, i Seneca, i Marco Aurelio..., ha ancora dei rimedi efficaci contro le sofferenze irrimediabili; in mancanza della consolazione, ha l’abnegazione, il sacrifizio di sè stessi. Questo sacrifizio, gli stoici d’una volta; lo spingevano fino al suicidio; e oggi il pensiero di questo ultimo rifugio sorge ancora in certi clienti.