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il mio diario di guerra 103

simo, quasi primaverile. Si lavora a preparare «cavalli di Frisia» e reticolati. I soldati, nelle baracche, scrivono, scrivono... Mi fermo con un gruppo di giovani ufficiali che fraternizzano con me. C’è il tenente medico Musacchio, il «quasiavvocato » Peccioli che mi ricorda le manifestazioni e le barricate romane del maggio; il già avvocalo Rapelti, pure romano; Santi e Barbieri della mia compagnia. Altre conoscenze: l’avv. Ghidini, volontario negli Alpini, avvocato bolognese. Ordine di servizio per la mia compagnia; il primo e secondo plotone vanno di guardia alla trincea; il terzo e quarto devono spostare avanti i reticolati. Ci vestono di bianco. Appena giunto al mio posto di vedetta, all’estremità destra della trincea, la vedetta austriaca mi tira una dietro l’altra due fucilale che si spezzano contro lo scudo. Metto la canna del mio fucile alla feritoia e rispondo. L’austriaco a sua volta risponde. Il duello dura alcuni minuti. Lo spostamento dei reticolati avviene senza incidenti e senza vittime. Notte freddissima e stellata. Siamo completamente all’aperto. Quindici gradi sotto zero. Se si resta immobili, le scarpe gelano e aderiscono al suolo duro e sonoro come un metallo.


Domenica 20 Febbraio.


Sole. Poche e rade fucilate tra le vedette delle squadre in trincea. Alcune cannonate, innocue. Con una bottiglia di «Barbera amabile» che il ber-