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il mio diario di guerra 151

ordine per tutti — che guardassero innanzi, non addietro — ostacoli con la rassegnazione di uomini condannati ad essere vittime dell’uno o degli altri; che scrivessero sulla loro bandiera riuscire o morire, e mantenessero la promessa».

Non c’è — in questi brani — la divinazione degli eventi odierni? Quale meraviglioso «viatico», per un soldato combattente, gli scritti di Mazzini! Ma chi li conosce fra questi miei 250 commilitoni?

6 Maggio.


Il reggimento, dopo dieci mesi passati nella zona dell’Alto Isonzo, è venuto qui a riposo. Ne aveva bisogno. Ma riposo, non significa ozio. Riposo, se significa non combattere, vuol dire lavorare. Strade, baracche, trincee, spostamento di cannoni.

Stanotte, tempesta. Pareva che la nostra fragile casa di tela dovesse venir spazzata via dal vento impetuoso che mugghiava. La pioggia scrosciava sulla tela, ma dentro non una goccia. Bisogna non toccare la tela. Oggi, dopo cinque giorni di attesa, la posta. Ho ricevuto fra l’altro una cartolina con questo indirizzo: Cap. B. Mussolini — Armée Italienne — Zona di Guerra (Italia). Ha impiegato un mese giusto a trovarmi. Leggo: