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il mio diario di guerra 169

terreno. Da tre ore i cannoni austriaci ci bombardano. I nostri rispondono. Qualche volta non si capisce quali siano i colpi in partenza e quali quelli in arrivo. Nel cielo è tutto un sibilare di granate che vanno e che vengono. Durante un bombardamento, io non amo la compagnia. Mi piace di starmene solo. Ho la superstizione che sia più difficile trovarmi.

Un lembo di azzurro verso Duino. I pali metallici che conducevano l’energia elettrica da Monfalcone a Gorizia, si rincorrono per lungo tratto e visti in lontananza, di notte, sembrano croci gigantesche di un cimitero sterminato.

Quanto sangue ha bevuto e berrà questa terra rossa del Carso?

Un tenente, che viene a trovarmi, mi dà le prime notizie sugli effetti del bombardamento di stamani.

I cannoni continuano ad urlare. Sono le quattro. Il tenente che comanda la mia compagnia mi invita a dividere la mensa serale degli ufficiali. Sono con lui vari sottotenenti, di cui uno ha il comando del mio plotone.

Il ricovero è così basso, che non si può stare nemmeno seduti. Notte. Raffiche di vento e di pioggia. Dalle 9 alle 10 intensissimo bombardamento alla nostra sinistra. E’ un mugghiare ininterrotto di grossi calibri. Un tambureggiamento sordo che giunge alle orecchie come il boato di un uragano. Piove, ma io e il mio compagno siamo abbastanza bene riparati nel ricovero nuovo che ci siamo costruiti in poche ore di lavoro. Anche stasera, niente posta. Meglio cercare il sonno.