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Durante la degenza di Mussolini nell’Ospedaletto, il nemico, violando ogni legge civile ed umana, bombardò quel luogo di sofferenze con aeroplani. Il ferito così narra in una pagina del suo Diario il doloroso fatto.


Mattina del 18 Marzo


Ore otto. Un po’ di sole. Il solito rombo degli aeroplani. Un ferito nuovo è giunto questa notte. Io non ho chiuso occhio. Stamani il termometro, 37,8. Stasera, segnerà 40.

Niente medicazione. Il sibilo di una granata. E’ scoppiata vicino all’Ospedale. Un’altra. Una terza. Un’altra ancora. Tutte a pochi metri dall’Ospedale. L’infermiere Parisi è tranquillo.

— Possibile — egli dice — che non vedano la Croce rossa sul tetto? Non hanno mai tirato in questi quattro mesi. Dunque! — Ancora un colpo. Il mio vicino, che ha le gambe fracassate da una bomba, li conta: siamo a 15.

— Son pasticci — dice un ferito alla clavicola.

Le medicazioni continuano al pianterreno. Vedo dalla porta spalancata sfilare le barelle. Salgono, dal basso, grida di dolore. Un rombo. Uno scrosciare di vetri nel corridoio, nelle camerate. I nostri lettucci hanno sobbalzato.

— Questa è caduta più vicina delle altre — dico a Parisi.