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il mio diario di guerra 219

Ma non ho finito di pronunciare queste parole, che un polverone bianco e denso si diffonde dalle camerate sulle scale. Dal polverone sbucano e corrono nella mia camerata, i feriti che possono camminare. Quelli inchiodati al letto si sono rovesciati giù, pazzi di terrore. I loro urli riempiono l’edifìcio. Uno, nuovamente ferito alla spalla, si è rotolato dalle scale.

Tutti i feriti della camerata li hanno trasportati nella mia. Il dott. Piccagnoni era a pianterreno e stava operando un ferito gravissimo. Dopo lo scoppio, ha lasciato il ferito agli assistenti ed è corso di sopra. Ha messo un po’ d’ordine. Ha rincuorato tutti. E’ stato ammirevole di calma e sangue freddo. Sistemati i feriti, è tornato giù a terminare l’operazione. Per fortuna, i nuovi feriti non sono gravi. Il più grave era ormai guarito. Ora una grossa scheggia gli ha rovinato una spalla! Continuano a fasciarlo. Perde tanto, tanto sangue! Quelli che possono parlare, commentano:

— Sono dei vigliacchi! Degli assassini! Ci vogliono uccidere per forza! —

Gi altri, che non possono parlare, fissano le pareti con gli occhi spalancati. Il sibilare delle granate — poiché gli austriaci continuano a sparare — provoca alcuni secondi di silenzio mortale. Ormai cadono lontano.

Il dott. Piccagnoni, insieme col dott. Vella e gli altri due medici, ritorna nella nostra camerata ed annuncia che nel pomeriggio tutti i feriti saranno portati al di là dell'Isonzo. I volti si rischiarano.

— E io? — domando.