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Pagina:Mussolini - Il mio diario di guerra, 1923.djvu/29

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il mio diario di guerra 21

17 Settembre.


Partenza. Andiamo aggregati non più al 12° bersaglieri, ma all’11°, che si trova sulla catena del Monte Nero. Un sottotenente medico rodigino che sta al comando di tappa, vuole conoscermi e salutarmi. Mi offre una eccellente tazza di caffè. Siamo in rango. Il tenente Izzo ci fa alcune raccomandazioni. Ci dice che a un certo punto della strada saremo a tiro del cannone nemico.

— Guai ai ritardatari! —

Il battaglione non sembra affatto preoccuparsi.

— Classe di ferro, l’84! —

Il «morale» è ancora più elevato. I discorsi stupidi che erano rari prima, non si odono più. C’è dell’allegria. Un artigliere di Corticella, tale Mengoni, mi accompagna per un tratto di strada.

Attraversiamo gli attendamenti delle salmerie e degli alpini. L’artigliere bolognese di quando in (filando mi precede per annunciare a gruppi di suoi amici il mio passaggio. Molti mi salutano con simpatia. Auguri! Valichiamo l’Isonzo. A Magozo — piccolo paese sloveno, dove non sono rimaste che due vecchie, le quali si nutrono col rancio dei soldati — incontriamo una colonna di prigionieri. Li circondiamo. Sono 46. Un intero plotone, con un cadetto e un sott'ufficiale. Il loro equipaggiamento è buono. Siedono su due file per terra. Molti fumano. Hanno, specie gli anziani, l’aria soddisfatta. Ma il cadetto, che sta dietro agli altri, è nervoso. Si morde le labbra. Trattiene a stento le lacrime. Il caporale Tafuri gli dice: