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il mio diario di guerra 31

— Sono io.

— Vieni che voglio abbracciarti. —

E ci abbracciamo. E’ il capitano Festa della 10ª compagnia del 157° fanteria, che occupa le nostre posizioni.

— La tua campagna giornalistica per l’intervento onora te e il giornalismo italiano! — aggiunge, alla presenza dei bersaglieri disseminati nei ripari.

— Questa, caro Mussolini, è una guerra terribile. Abbiamo di fronte dei barbari che ricorrono a tutte le insidie... Ma — e si volge anche agli altri — coraggio e, soprattutto, religione del dovere!

Se ne va. E’ basso, tarchiato, barbuto. Porta gli occhiali. I suoi soldati parlano di lui con venerazione.

La mia compagnia è comandata ai posti avanzati, di guardia.

Tramonto. Il caporale Claudio Tommei — romano — mi offre un passamontagna e un numero del Rugantino. Grazie. Quando, in Italia, si parlava di trincee, il pensiero correva a quelle inglesi, scavate nelle pianure basse di Fiandra e munite di tutto il comfort, non escluso — si dice — il termosifone. Ma le nostre, qui, a quasi 2000 metri sul livello del mare, sono ben diverse. Si tratta di buche scavate fra le rocce, di ripari esposti alle intemperie.

Tutto provvisorio e fragile. E’ veramente una guerra di giganti quella che i soldati d’Italia — fortissimi — combattono.