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42 benito mussolini

Poi non mi sono ricordato più.

Cambiamo posizione. Andiamo in fondo valle alle sorgenti dello Slatenik, un torrente che sbocca nell’Isonzo, nella conca di Plezzo. Nei ripari che gli austriaci hanno abbandonato, troviamo un po’ più di comfort. In questa zona sono ancora visibili i segni della travolgente avanzata degli italiani.

Sul terreno tormentato e sconvolto sono disseminati, in disordine, bossoli di proiettili d’ogni calibro, giberne, scarpe, zaini, pacchi di cartuccie, fucili, cassette di legno sventrate, tronchi d’alberi abbattuti, reticolati di ferro travolti, scatolette di carne vuote con diciture tedesche e ungheresi, fazzoletti, teli da tenda. Qua e là sono degli austriaci morti e malamente sepolti. Tra gli altri un ufficiale.

Qui furono distrutti due reggimenti di bosniaci e erzegovinesi.

La posta: pacchi e lettere, ma per me e per tutti i richiamati dell’84, niente ancora. Soffia un vento impetuoso e freddo. Distendiamo sui cespugli, al sole, le nostre mantelline e coperte, inzuppate di acqua.


29 Settembre.


Due giorni e due notti di pioggia. Tempesta.

Veniva dal Monte Nero. Sono, siamo fradici sino alle ossa. I bersaglieri preferiscono il fuoco all’acqua. Fuoco di piombo, si capisce. Ma stamani,