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di quei moduli speciali coi quali si chiedono ai Reparti notizie di militari, dovette scrivere la parola: morto!

Sera di calma. Qualche fucilata solitaria delle vedette fischia di quando in quando nella boscaglia.


10 Ottobre.


Mattinata meravigliosa di sole. Orizzonte limpidissimo. Si ordina la statistica dei caricatori. Ogni soldato deve averne 28. Ore dieci. Uno shrapnel è passato fischiando sulle nostre teste. In alto. Non trascorrono cinque minuti, che un secondo shrapnel scoppia con immenso fragore a tre metri di distanza del mio «ricovero», a un metro appena dalla tenda del mio capitano. Ero in piedi. Ho sentito una ventata violenta, seguita da un grandinare di schegge. Esco. Qualcuno rantola. Si grida:

— Portaferiti! Portaferiti! —

Sotto al mio ricovero ci sono due feriti che sembrano gravissimi. Un grosso macigno è letteralmente inaffiato di sangue. Gli ufficiali sono in piedi che impartiscono ordini.

— Le barelle! Le barelle! —

I feriti sono molti e bisogna chiedere le barelle alle altre compagnie del battaglione. Ci sono anche dei morti: due. Uno è Janarelli, l’attendente del tenente Morrigoni. Una palletta di shrapnel gli è entrata dal petto e gli è uscita dalla schiena.