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il mio diario di guerra 83

due ore. Non pioveva, per fortuna. Il mio riparo è relativamente buono. Da stamani pioggia e neve. La mitragliatrice austriaca spara, ma siamo «defilati» e finora nessuno dei nostri è rimasto ferito. Ci troviamo in mezzo al fango. Camminare nella mulattiera significa immergersi nella melma fino al ginocchio. Fra i ripari corre un vero torrente di mota. Qui, siamo più raccolti. I cannoni austriaci tacciono sempre. I nostri pure riposano. Anche se piove, anche se nevica o tempesta, quando i cannoni nemici tacciono, c’è allegria fra noi.


4 Novembre.


Ieri sera il mio plotone — il primo — è stato comandato ai piccoli posti. Siamo partiti alle diciotto. Pioggia a scrosci. Buio pesto. Siamo montati a uno a uno — in fila indiana — per un camminamento franato e pieno di fango. Quando i razzi luminosi degli austriaci solcavano il cielo, ci gettavamo di colpo a terra. Giunti alla posizione, non è stato facile trovarmi un riparo. Non un barlume di luce, all’infuori di quella dei razzi, spenti i quali, le tenebre erano più dense di prima. Finalmente ci siamo cacciati, io e il mio capo-squadra Mario Simoni, dietro a un masso roccioso.

Ho chiesto al mio capo-squadra:

— In caso di un attacco austriaco, quale la nostra fronte?

— Quella a destra... —