Pagina:Mussolini - Il mio diario di guerra, 1923.djvu/95

Da Wikisource.

il mio diario di guerra 87


di partenza per il plotone accelerato degli Allievi Ufficiali. Del mio Reggimento siamo soltanto in cinque: io, Lorenzo Pinna, Vismara, di Milano; Moscatiello e Inglese, di Napoli.

Lascio la compagnia. Saluto il capitano e gli ufficiali. Tutti i bersaglieri mi gridano il loro affettuoso saluto e il loro augurio. Addio! Addio! Non sono contento. Mi ero ormai abituato alla trincea. Scendiamo allo Slatenik. Tre ore di marcia faticosa. In certi punti la mulattiera è tutta un pantano. A quota 1270, o Trincerone, tappa. Il maresciallo Zanotti deve farci il foglio di via. Al Trincerone c’è il 27° a riposo. In tutti i reparti ardono grandi fuochi. Qua e là si canta a gran voce. Piove. Ci ripariamo nella baracca del cantiniere. Come letto: il rivestimento di paglia delle bottiglie. Dormire? Niente. Poco lungi è Jacobone, napoletano, che dirige un coro di milanesi. Si canta a voce spiegata la canzone della «povera Rosetta»:


Ai ventisette agosto
Era una notte oscura
Commisero un delitto
Gli agenti della Questura...


7 Novembre.


Prima di scendere a Caporetto, ci siamo recati alle cucine del nostro battaglione, dove i nostri amici ci hanno regalato un caffè, come si dice in gergo militare, «fuori d’ordinanza». Il tempo non