Pagina:Naufraghi in porto.djvu/112

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maresciallo, — altrimenti quest’anima semplice muore di crepacuore: e si stizziva quando Costantino parlava amorosamente di Giovanna.

— Caro, carissimo, — gli disse sbuffando, un giorno d’ottobre. — Tu non conosci le donne. Anfore vuote, ecco, null’altro che anfore. Una volta io sono stato fidanzato. Ti pare impossibile? Sì, pare impossibile anche a me, guarda! E poi? Ecco tutto, ella mi tradiva già, ancora prima di sposarla. Ecco tutto. Tu mi fai stizzire, del resto: ora tua moglie trovasi in un caso diverso, è povera, è giovine, ha del sangue nelle vene. Ha sì o no del sangue nelle vene? Se Dejas la vuol sposare, ella è un’oca a non prenderselo.

— Chi, Dejas? Chi le ha detto... — domandò Costantino sorpreso.

— Oh, non me lo hai detto tu?

A Costantino pareva di non averne parlato mai. Ma aveva le idee tanto confuse, da qualche tempo in qua! Oh Dio buono, o San Costantino bello! Come aveva fatto a parlare di colui?

— Ebbene sì, — proruppe, — ho paura. Egli le ha fatto la corte, la voleva sposare. Ah, è un ubriacone, scipito come il fango. No, essa non farà mai quella cosa orribile. Parliamo d’altro, per carità.

E parlarono d’altro, sempre in dialetto sardo per non farsi capire dagli altri condannati; parlarono dello studente tisico che andava sempre più avvicinandosi alle porte dell’altro mondo, del Delegato che parlava ad alta voce