Pagina:Naufraghi in porto.djvu/111

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— Ma tu sei un cretino, mio caro. Se ella lo facesse sarebbe giusto, ecco quello che dico io.

— Ma io tornerò.

— Cosa ne sa lei?

— Ma io glielo scrivo sempre, glielo scriverò sempre.

Il re di picche ebbe voglia di ridere, ma s’arrabbiò contro sè stesso per questa sua voglia, si fece pensieroso: poi disse, come rispondendo ad una sua intima domanda:

— È una sciocchezza.

— Sì! — rispose pronto Costantino: però pensava sempre a Brontu Dejas, alla sua casa col portico, alle sue tancas e alle sue greggie, alla miseria di Giovanna.

La notte stessa le scrisse confortandola, ripetendole che egli sperava sempre nella misericordia divina. «Forse Dio ha voluto provarci ancora, togliendoci il frutto che noi avevamo concepito nel peccato. Sia fatta la sua volontà. Ma adesso più che mai un presentimento mi dice che si avvicina l’ora della mia liberazione.»

Poi meditò a lungo domandandosi se doveva scrivere di quella cosa orribile supposta dall’ex maresciallo. Ma no. Egli si credeva abbastanza furbo per non accennarla neppure.

Dopo aver scritto fu più tranquillo; ma un tarlo inesorabile cominciò a rodere e stridere nel suo cervello, e dopo quel giorno il re di picche con pietà crudele non cessò di instillargli nel sangue il terribile veleno.

— Bisogna che si abitui, — pensava l’ex