Pagina:Naufraghi in porto.djvu/181

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viso liscio, senza sopracciglia, ridiventava gioviale.

— Prendetevi mia sorella per moglie, — ripeteva. Questa casa sarà sua...

— Tu mi deridi, — rispose il pescatore; — perchè sono povero tu mi deridi.

Egli camminava timidamente sul pavimento di legno; Giacobbe invece batteva il tacco ferrato, compiacendosi a destar l’eco nelle grandi stanze vuote, odorose di calce fresca.

Dalle finestre i cui davanzali di pietra ardevano al sole si vedeva tutto il paesetto, bruno come un mucchio di carboni spenti, sotto il velo verde degli alberi, la pianura gialla, le grandi sfingi d’un grigio violaceo dritte sul cielo ardente. La campana della chiesetta suonava, suonava, e nella quiete del meriggio azzurro e ardente, quel suono saltellante, fra di pietra e di metallo, pareva venir di lontano, dal cuore di quelle sfingi, dove un gigante tagliapietre lavorava annoiato e sonnolento.

— Perchè dunque non volete sposare mia sorella? — riprese Giacobbe, affacciato goffamente a un davanzale. — Questa casa sarà sua, questa sarà la camera da dormire; qui, in questa finestra, vi potrete affacciare, uccellino di primavera, potrete fumare la pipa...

— Io non fumo. Lasciami in pace. — disse Isidoro con impazienza, poichè le parole del servo cominciavano a fargli male. E s’appoggiò anche lui alla finestra.

— Io non scherzo, vecchia lucertola, — pro-