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Pagina:Naufraghi in porto.djvu/211

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Il medico condotto di Orlei, Dottor Puddu, era una specie di bestia grossa e gonfia. Un tempo anche lui nutriva grandi ideali; ma la sorte lo aveva sbalzato in quel paesetto solitario, dove la gente raramente ammalava, ed egli s’era dato a bere, prima di tutto per scaldarsi, poi perchè i liquori ed il vino gli piacevano immensamente. Adesso era completamente alcolizzato, tanto che neppure gli abitanti di Orlei avevano più stima di lui.

Giacobbe Dejas si lamentava di un dolore al fianco e il dottor Puddu gli cauterizzava la mano ferita dalla tarantola; e gli diceva con voce rauca:

— Stupido. Non si muore di queste cose. D’altronde, se muori tu è come muoia un asino.

Zia Anna-Rosa lo guardava con ira e brontolava. Era diventata collerica, la povera donnina: si arrabbiava con tutti, tranne che col malato. E come sembrava vecchia dopo quella notte; il suo visetto, rimasto giallo e rugoso, non pareva più quello.

La rivelazione del fratellino l’aveva cambiata in modo strano, fisicamente e moralmente: giorno e notte si domandava con profondo stupore come mai Giacobbe aveva potuto uccidere un uomo.

Lui! Lui che era allegro e mansueto come un agnello. Come mai, animuccie sante del Purgatorio? Eppure nostro padre non era un ladrone, no; era un uomo di Dio, sempre allegro