Pagina:Naufraghi in porto.djvu/230

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la sua voce rauca, picchiando con l’ombrello sulla pentola.

— Non la rompa! — disse Isidoro, — e scusi tanto, ma quella non è porcheria. Son fave e lardo e salsiccie.

— E il lardo non viene dal porco? Siete tutti porci qui... Tu dunque sei tornato, buona lana? Io ho veduto morire colui. — Chi? chi? — Giacobbe Dejas! Egli è morto di mala morte, come meritava. Tu ti prenderai una purga, domani. Dopo un viaggio è assolutamente necessaria.

Costantino lo guardava e taceva.

— Tu mi credi pazzo! — gridò il dottore, minacciandolo con l’ombrello. — Una purga, capisci, una purga!...

— Ho sentito, — disse Costantino.

— Oh, meno male! Ho sentito anche io, che tu vuoi andar via. Viaaa! Va magari a casa del diavolo, ma va via. Prima, però, va al camposanto, a quel letamaio che voi chiamate campo-santo! E scava, scava come un cane, e roditi le ossa di Giacobbe Dejas.

Digrignò i denti, come rosicchiando un osso; era ridicolo e orribile, e Costantino tornò a guardarlo con stupore.

— Perché mi guardi così? Tu sei stato sempre un cretino, caro mio, piccola bestia. Eccolo lì, tranquillo e pacifico come un papa! Ti hanno tolto tutto, in barba anche alla legge, che tu non sai neppure far valere; ti hanno tradito, ammazzato, ti hanno percosso vilmente, e tu stai lì istupidito e rimbambito. Ma perchè non ti