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XVI.
La sera di luglio calava tranquilla coi suoi luminosi veli azzurri. Costantino stava seduto sulla panca di pietra addossata alla casa del pescatore, e contava sulle dita, pensieroso.
Sì, da sessantaquattro giorni, era ritornato. Da sessantaquattro giorni. Pareva ieri; pareva un secolo. Il suo abito di fustagno s’era logorato, il suo viso s’era fatto scuro; ed anche il suo cuore, ecco, anche il suo cuore, di giorno in giorno, d’ora in ora, corroso dal dolore, dal rancore, dalla passione, si faceva scuro come una cosa vicina a corrompersi.
Dalla reclusione aveva portato con sè l’abitudine di fingere; non sapeva perchè, ma non riusciva a confidarsi con nessuno, mentre ne sentiva il bisogno; e questa finzione accresceva il suo dolore. Un vuoto infinito e gelido lo circondava, come un mare calmo ma senza rive circonda un naufrago. Da due mesi egli nuotava in questo mare; e adesso era stanco, stremato di forze: la sua anima, per quanto guardasse intorno, nelle desolate lontananze, non scorgeva riva, non vedeva la fine della sua inutile lotta: e l’acqua fredda e il gorgo del vuoto lo inghiottivano lentamente.
Ogni giorno parlava di andarsene e non se ne andava mai. Era una finzione come tutte le