Pagina:Neera - Addio, Firenze, Paggi, 1897.djvu/36

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22 addio!


come di chi o lavora o pensa o vive troppo, lo mostravano a tutta prima più vecchio di quello che fosse in realtà — aveva forse trentadue anni — non più sicuramente.

Con una grazia perfetta egli disse che la mia lettera lo aveva rischiarato troppo poco sul conto del mio protetto, sperava che parlandoci ci intenderemmo meglio.

Lo ringraziai e mi feci a spiegargli le circostanze richieste.

Il salotto, tappezzato di un rosso cupo colle pesanti cortine di damasco che arrestavano sulla finestra i raggi del sole, ci lasciava in una oscurità blanda piena di mistero.

Intanto che io parlavo i suoi occhi stavano fissi ne’ miei, — come mai non li avevo osservati prima? Erano occhi profondi e luminosi, carichi d’elettricità come un bel cielo d’estate; lo sguardo dardeggiava audacissimo sotto le palpebre semichiuse e colorandosi ai riflessi di un fuoco interno, assumeva tutte le gradazioni dal bruno dorato all’azzurro fosforescente. Nella nera pupilla, fissa sul fondo tremulo, si raccoglievano fasci di luce di un effetto potente.