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Pagina:Neera - Addio, Firenze, Paggi, 1897.djvu/95

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addio! 81


l’infinita bontà del suo cuore trovava compensi così delicati, così teneri, che mio malgrado mi sentivo vinta e mi scioglievo in lagrime sotto i suoi baci che non osavo rifiutare nè rendere.

Nelle placide sere d’autunno noi passeggiavamo muti e soletti, tratto tratto sospirando — io di dolore — egli di compassione — e forse chi sa! di rimpianto verso il dolce passato, quando le mie pupille erano specchio fedele dell’anima mia ed egli vi si mirava beato.

O Attilio, perdono! perdono! perdono!

Una sera, più del solito, ci eravamo dilungati. La luna era così limpida, così stellato il cielo, l’aria così pura e rotta a ondate dai penetranti olezzi che mandavano dal mare i boschetti d’oleandri, sotto il verde dei grandi alberi gorgheggiava così soavemente l’usignolo, che nessuno di noi due poteva risolversi a rientrare.

Dov’era il mio pensiero?

Il suo tornava malinconico ad una lontana sera — anche allora noi percorrevamo i medesimi sentieri, sotto la medesima luna,