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poco; a un certo punto piegò la testa quasi vinto dalla stanchezza, tuttavia non smise.
In capo a un’ora un fascio di fogli scritti giaceva sulla coltre. Piccole e fitte stille di sudore gli imperlavano la fronte.
— Smetti! — scongiurò Minna.
Gli occhi di Filippo sembravano due bracieri affondati in una fosca caverna; una striscia livida li cingeva tutt’attorno e livide erano le labbra serrate in uno sforzo supremo della volontà. C’era della grandezza nella lotta che quell’uomo sosteneva contro un nemico misterioso ad armi disuguali.
— Filippo.... — tornò a pregare Minna.
— Vattene! No, resta; dàmmi una busta.
La busta presentata da Minna era troppo piccola. Egli si impazientì tentando invano di farvi entrare tutti i fogli scritti: volle cercarne lui stesso un’altra nella cartella, ma di minuto in minuto il suo volto si disfaceva. Compì a stento l’atto di mettere i fogli nella nuova busta e mentre stava per apporvi l’indirizzo la penna gli cadde di mano. Minna lo udì mormorare con voce