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nella sua botteguccia con una stretta al cuore. Torna ad accostare le imposte accuratamente l’una contro l’altra e riprende il suo posto sulla seggioletta.
Ma quanto mutato è l’animo di Chiarina! Ella non ritrova più i semplici pensieri abituali; non è più sola colle sue umili faccenduole, coi poveri oggetti che la circondano e che erano bastati fino allora alla sua attività.
Nella penombra calda e molle ella non scorge oramai che la forma rimasta indelebile nelle sue pupille del giovine seduto vicino a lei. Ama ricordarne i più minuti particolari: l’abito di una stoffa grigio chiara, la cravatta celeste percorsa da crocelline bianche e da fascia nere, la catena dell’orologio, sottile, con un ciondolo di lapislazzuli.
Ella non sa questo nome, ma vede il turchino intenso della pietra come se le stesse ancora innanzi.
Ed ama ripetere le sue parole: «Forse in settembre. Quando verrai a Milano a trovarci?» Se le ripete evocando il suono preciso della sua voce, la piega del suo labbro, l’espressione che animava la sua fisionomia pronunciandole. «Noi non sappiamo nulla di ciò che ci riserba l’avvenire». Queste soprattutto le sembrano