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206 la signora d’épinay


sieme al vino bianco, aveva montata un po’ troppo la testa all’allegra signora, perchè i suoi biografi che si accordano a chiamarla buona, dolce, semplice, sincera, aggiungono anche l’aggettivo decente. Comunque sia, accettiamolo, questo aggettivo, per il valore che poteva avere nel secolo XVIII e vediamo quali erano gli amici delle due cugine quasi vedove, coloro che riempivano il vuoto forzato delle loro giovinezze.

A Diderot, a d’Alembert, a Condorcet, a Voltaire, che già abbiamo incontrati tante volte nel corso di queste pagine, bisogna aggregare un bizzarro personaggio e fargli anzi un posto a parte, perchè egli si conservò tra i più fedeli amici della signora d’Épinay. È questi l’abate Galiani, «il più grazioso Arlecchino che abbia prodotto l’Italia, alto poco più di un metro, ma sulle cui spalle stava la testa di un Macchiavelli». Quando egli entrava nel salotto della d’Épinay, entravano con lui la gaiezza, l’immaginazione, lo spirito, la follia, lo scherzo e tutto ciò che può far dimenticare le pene della vita. Egli doveva essere senza dubbio