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240 la contessa di genlis

che sappiamo. Raccogliendo con somma cura gli episodi ridicoli della sua vita, la contessa, che non parla mai se non per incidenza di suo marito, non c; dice come egli rimase a quella strana accoglienza. Gridò, si indignò, questo si capisce, ottenne colle brusche ciò che egli credeva dovesse venirgli incontro coll’ansia di un desiderio eguale al suo. Ma come rimase? Che cosa avvenne nel suo cuore, nella idealizzazione ch’egli aveva dovuto fermarsi della leggiadra suonatrice d’arpa? Forse compatì, perdonò, sperò...

Poco tempo dopo vediamo la contessa nell’avito castello di Genlis, accolta benevolmente dal marchese cognato, accaparrarsi col suo fresco visetto, colle smorfie graziose, tutti i vecchi parenti del marito. Ella non è più seria là di quanto lo fosse altrove. Un giorno va a passeggiare nel parco con certe scarpette di raso bianco ricamate (sempre il travestimento), e siccome la burlano un poco, chiamandola dame de Paris che sembra ignorare come girando per aiuole e per boschetti non oc-