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Quando a notte l’impero del cielo
Si distende su tutto il creato,
E palliata di candido velo
La tua cara sembianza m’appar,
E il mio nome con giubilo ascolto,
E la bocca mi sento baciar...

Sorge allora più ardito il desio,
Più gagliardo nell’alma romita;
E sul labbro, bell’angelo mio,
Questa voce dal core mi vien:
Ah! se tutta trascorrer la vita,
Me beato, potessi al tuo sen!


Le sembrava ancora la più bella poesia del mondo, l’aveva recitata un giorno al dottorone, sperando di commoverlo, ma egli aveva risposto: Non creda ai poeti; essi cantano d’amore nello stesso modo che i becchini seppelliscono i morti, per professione.

Nelle pagine della strenna c’era un foglietto, staccato, come si vedeva, da una lunga lettera. La carta era sottile, rasata; la calligrafia femminile, diceva; «mai, mai lo dimenticherò, mai! Esso è qui sulle mie labbra, più ancora che non