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compagnate da un gesto, che indicava un uscio socchiuso. La Tatta guardò quell’uscio, che il vento faceva gemere tristamente e dalla cui fessura usciva un pallido bagliore.
— Venga con me; non può star qui tutta la notte a piangere, nevvero? Venga a casa mia; siamo buoni vicini e mia nipote, che è della sua età, le terrà un po’ di compagnia. Non è la prima volta, che mi capita una cosa simile; anche la Giulia della Motta di sopra, quando le morì il padre, stette per otto giorni con me — io allora ero ancora a Pomponesco.
Nessuno le chiese chi fosse la Giulia della Motta di sopra.
Matilde piegando e ripiegando la pezzuola, alzava al cielo le braccia, sul candore delle quali spiccavano due bracialettini di conterie di Venezia — e rispose:
— Io non so più quello che mi faccia.
La Tatta credette bene di avvicinarsele e prendendola per la vita con una certa bruscheria benevola, piena di buone intenzioni, l’obbligò ad alzarsi.
In quel momento si spalancò l’uscio e subito si sentì una raffica impetuosa, che entrava insieme alla pioggia per i vetri lasciati aperti nella camera della morta.