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254 Novelle gaje.


Il cavaliere aveva buon aspetto. Alto e sottile, le sue reni flessibili secondavano con un movimento aristocratico le mosse del cavallo; di sotto il largo sombrero svolazzavano al vento alcune ciocche di capelli biondi; una maschera nera gli copriva il volto.

E galoppava, galoppava.

La luna splendida faceva la via chiara e luminosa come un nastro d’argento; la polvere sollevata dal cavallo turbinava sulla terra bianchiccia e ricadeva silenziosa sui cespugli frequentati dalle lucciole.

Madrid si perdeva nelle ombre della notte. I suoi mille fanali morivano ad uno, ad uno; le sue torri, i campanili, i bruni terrazzi si dileguavano dietro le spalle del cavaliere.

Chi sa se un qualche sereno tra il sonno e la veglia contò le dodici ore scoccate lente e maestose all’orologio della plaza!

In quel momento l’arabo si arrestò colle narici dilatate, fiutando il vento; il cavaliere lo accarezzò dolcemente sul collo accompagnando l’atto con uno scoppiettio della lingua che doveva dire: avanti, coraggio!

Il generoso animale riprese il galoppo e una vocina angelica, una vocina che faceva pensare ad una danza di perle, gemette di sotto il mantello:

Ah! por l’amor de Dios!... —

Doña Sol, la più bella fanciulla che siasi mai vista al Prado agitare con mano di neve un ventaglio di ebano, doña Sol piccina, sottile e svelta come una fanciulla di dodici anni, doña Sol dagli occhi neri, dai lunghi capelli fluenti, doña Sol l’andalusa era appena uscita di convento dove insieme alle verità di nostra