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Un idealista


impressionata; ma anche senza conoscere Alberto Sormani, come appunto allora non lo conoscevo, l’impressione svanì subito nella purezza del concetto che non lascia alcun: dubbio sulle intenzioni dell’autore. Chi poi lo conobbe, chi seppe quale signorile altezza egli portava in tutte le sue concezioni artistiche e ricorda come un altro scrittore egualmente aristocratico, Chatheaubriand, abbia trattato lo stesso argomento forse con minore intensità di sentimento, deve ammettere che non si può imputare la scelta del soggetto a uomini che si mostrano assolutamente superiori alle convenzioni della folla.

Per Alberto Sormani poi ce una ragione di più. L’individualismo spiccatissimo della sua psiche, la raffinatezza delle sensazioni, l’assorbimento continuo e fisso del pensiero dominante in lui qualsiasi altra manifestazione della vita, non potevano fargli concepire l’amore se non per una sorella. Sorella d’anima, s’intende, nel concetto primo, che restringendosi vieppiù e isolandosi nella contemplazione interna lo condusse alla sublime abberrazione di quel vocativo: sorella suora, soror mea; il nome divinamente dolce. È come l’amore di Sigmondo e di Brunechilda nell’Anello del Nibelungo; un simbolo, un mito, una condensazione della più vaporosa idealità; ed anche nella celebre Trilogia questo sforzo dell’immaginazione verso un concetto che supera la portata delle menti comuni fu biasimato, ma senza toglier nulla della poe-