Pagina:Neera - Teresa.djvu/239

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Quelli della contrada c’erano tutti; i bambini della pretora, insieme alle gemelle Caccia, la madre Portalupi coll’ultima figlia non ancora maritata, la vecchia Tisbe che non moriva mai, come se avesse fatto un patto col diavolo. Anche don Giovanni Boccabadati apparve un momento sulla soglia della chiesa, floscio, portando attorno di malavoglia la pancia che incominciava a pesargli.

— Ho freddo — mormorò Teresina.

— È una giornataccia — rispose la pretora sprofondando le mani nel manicotto.

— Vuoi andare fino al cimitero?

— Fa come credi. Sarebbe meglio.

Dopo l'ufficio funebre il corteo si pose in fila; davanti il carro, i preti, poi le donne e qualche uomo in ultimo.

Tirava un vento frizzante di tramontana.

— Vuol nevicare.

— Ho paura di sì.

Non dissero altro per tutta la strada prese entrambe dal freddo e dalla tristezza, coi veli abbassati sulla faccia e gli occhi semichiusi.

Pochi furono quelli che giunsero al cimitero; un piccolo circolo si formò intorno alla fossa scavata di fresco, dove calarono lentamente la bare.

— I morti non soffrono piú — disse Teresina volgendo altrove la testa.

— No. È una consolazione.

— Non soffrono piú, ma forse sentono ancora...

— È assurdo.

La pretora disse questa parola distrattamente pensando a’ suoi bambini che erano tornati indietro.

Successe un lungo silenzio. Le due amiche rifacevano la strada. A un tratto Teresina sospirò così dolorosamente sotto il suo velo, che la pretora comprese subito dove andava quel sospiro.

— È un pezzo che non hai notizie?

— Dieci giorni! — esclamò Teresina, ascoltando con sbigottimento il suono della propria voce, sembrandole che dieci giorni pronunciati forte si raddoppiassero di lunghezza. — Sono molti nevvero?

— Molti? non saprei; tutto è relativo...

— È andato a Milano.