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l’oblio. Ma al mattino, destandosi, la prima impressione era quella del suo amore perduto, ed era assalita da tale disperazione da sembrarle impossibile la ripresa di una giornata come quella trascorsa.
Eppure la riprendeva, nella monotonia dell’abitudine, nella inenarrabile monotonia della vita femminile, trascinando di camera in camera la sua tristezza, meravigliata di trovarsi passiva in tanto dolore.
Che cosa poteva fare? Ribellarsi al padre, far morire di cruccio quell’angelo della mamma, rompere tutte le tradizioni della famiglia, mancare ai doveri di figlia ubbidiente e sottomessa?
La schiavitù la cingeva da ogni lato. Affetto, consuetudine, religione, società, esempi, ciascuno le imponeva il proprio laccio. Vedeva la felicità e non poteva raggiungerla. Era libera forse? Una fanciulla non è mai libera, non le si concede nemmeno la libertà di mostrare le sue sofferenze. Ella doveva fingere colla madre per amore, col padre per timore, colle sorelle per vergogna.
Peggio quando uscì. La osservavano come una bestia rara, fermandosi sui due piedi. Tutte quelle che le avevano invidiata la conquista di Orlandi, se ne vendicavano ridendole in faccia, berteggiandola. Le persone piú prudenti bisbigliavano sommessamente. Gli uomini la guardavano dritta negli occhi, con fare ardito.