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Una giovinezza del secolo XIX 45

campi dell’irreale doveva procurarmi i momenti forse più belli della mia vita. L’uomo che nel Morgante maggiore del Pulci, si burla del vicino, che avendo sognato i suoi buoi ne pretendeva il possesso e mostrandoglieli riflessi nel fiume gli dice ironicamente: "Or va laggiù a pigliarli, son tuoi" afferrando la verità immediata del possesso, trascura il valore della conquista spirituale. Bisogna lasciare al sogno il largo posto che esso occupa nella nostra esistenza. Togliendolo all’uomo lo si priva di uno degli attributi che lo distingue dalla bestia. Coltiviamo il sogno: esso è l’isola incantata dove il navigante tra l’una e l’altra tempesta riposa. Il solo ammonimento che ci dà la ragione è quello di contenerlo entro i limiti di piacere superiore. Dagli spilli che io ammiravo non potevo ritrarre nessun utile personale, ma il diletto, che provava la pupilla posandosi sui variopinti colori, metteva in moto le cellule del mio pensiero e tanto me ne compiacevo da reputarmi ricca quando riuscivo a comperarne una cartina. Mi divertivo allora a contarli, a suddividerli col mio criterio fanciullesco secondo l’età e la condizione del destinatario, come faceva la nonna coi piatti del desinare, e poi correvo a portarli alla mia balia, alle sue cognate, alla vecchia Teresa, alla lunga Francesca. Se