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Una giovinezza del secolo XIX 75

il pigolio al nido. Non avevo più nè otto nè dieci anni, ripetendo la frase della zia, ma il bisogno di tenerezza cresceva insieme agli anni e, in senso inverso dal bisogno, la mia timidezza mi ricacciava tutta dentro di me. Amavo molto mio padre, ma era serio anche lui come tutta la nostra famiglia e di pochissime parole. Il gran lutto, che gravava sul suo cuore, lo ravvolgeva in una specie di nube attraverso la quale mi appariva come un essere superiore, tanto lontano da me, dai miei piccoli affanni. Una ritenutezza, una specie di pudore, quasi uno scrupolo di coscienza mi impedivano di aprirmi con lui. Mai avrei avuto il coraggio di confessargli il mio disagio in quel passaggio dall’una all’altra età, essendo cambiata ogni cosa intorno a me, colla sensazione oscura e profonda di trovarmi sperduta in una landa deserta, sola.

La zia Nina non sapeva nè leggere nè scrivere. Feci questa straordinaria scoperta osservandola quando sua sorella la pettinava. Anche lei stava seduta colla misteriosa cassettina davanti e il suo libro di preghiere sui ginocchi, ma le pagine non le voltava mai. Seria, dura, immobile come una statua, un lieve battito delle palpebre di minuto in minuto la diceva viva. Minore qualche anno della zia Margherita, conservava